Chi sono?

Nasco primogenito in quel di Roma nel 1969 in una via foriera di mirabilanti e inimmaginabili prosperi futuri: via Lorenzo il Magnifico. Ancora attendo l'avverarsi di questa profezia. Per sommo errore una volta giudicato maturo dall'istituzione scolastica scelgo di fare Ingegneria. Questa scelta cambiera' drasticamente il mio destino e le mie inclinazioni mortificando inconsapevolmente ogni mia aspirazione e interesse. Dopo aver pagato a suon di stempiatura e diradamento di capelli la mia scelta vengo fagocitato dalla triste e mediocre realta' del lavoro da cui ancora oggi provo a stento di liberarmi con tutte le mie forze, ma oramai la routine ha fiaccato ogni mia velleita'.

martedì 27 gennaio 2009

Diario politico italiano: pagina 42

Oramai e' chiara la situazione italiana, ci stiamo avvicinando a grandi passi verso il periodo di stagnazione che ha devastato il Giappone e che ci portera' a differenza del Giappone vicini al default come e' successo in Argentina.
Al momento e' evidente che stiamo in recessione, aumentano i fallimenti si sussegono gli annunci di tagli di personale, si incrementano gli indici di disoccupazione, aumentano le domande di ammortizzatori sociali, chiudono le imprese. A un passo c'e' la fase di depressione.
l’Economist arriva a definire una depressione come una riduzione dell’attività economica pari almeno al 10% del PIL e di durata non inferiore a tre anni. Le stime dell'FMI non parlano ancora di queste cifre perche' si attestano intorno a una riduzione del 3% del PIL ma sono solo previsioni, la realta' potrebbe andare oltre ogni aspettativa. Quella degli anni 1929-1933, in America, fu senza dubbio una Grande Depressione, dato che durò ben 43 mesi con un crollo del PIL del 30% circa. All'aumento della disoccupazione e dei fallimenti ci sara' una riduzione delle imposte che si accompagna al calo dell’attività economica e l’aumento della spesa per sussidi di disoccupazione offrira' il minimo sostegno ai redditi. Dall'altro lato c'e' la banche centrale che tenta di perseguire politiche anticicliche, riversando liquidità nel sistema economico ogni qualvolta lo ritenga opportuno e nella misura desiderata. Infine, si è capito quanto sia essenziale sostenere il sistema creditizio, impedendo i fallimenti a catena di istituti bancari, che negli anni ’30 misero in ginocchio l’economia americana, ma il risultato e' parziale perche' non si riesce in ogni caso a sbloccare il credito.
Nel corso degli anni novanta, stagnazione economica e politiche di bilancio espansive hanno prodotto una forte crescita del debito pubblico giapponese che, nell'estate 2002, ha raggiunto il livello record di 670mila miliardi di yen pari al 134% del prodotto interno lordo. L'entità del debito accumulato è tale da creare serie preoccupazioni in merito alla sostenibilità del debito stesso, alle modalità di finanziamento e agli elevati costi economici e sociali di politiche che ne consentano la riduzione. In particolare, molti economisti sottolineano come il rapido invecchiamento della popolazione giapponese renda ancora più complessa la gestione del debito, rischiando di provocare tensioni e conflitti intergenerazionali. Comparando il caso del Giappone con quello del nostro paese, la relazione proposta intende analizzare e discutere alcune tesi riguardanti gli effetti e la sostenibilità del debito pubblico. A tal fine si esaminano le cause, la dinamica e le caratteristiche del debito giapponese che, a giudizio del relatore, in realtà non rappresenta il problema principale dell'economia giapponese. Avvalendosi dell'ampia e aggiornata documentazione statistica disponibile, la relazione analizza anche gli effetti della deflazione sul valore reale del debito pubblico, sottolineando come la diminuzione dei prezzi contribuisca ad aggravare il problema. Infine, sulla base di una lettura critica delle numerose pubblicazioni in lingua giapponese sull'argomento, si discuteranno le politiche di rientro proposte negli ultimi anni, sottolineandone le possibili conseguenze ed eventuali incongruenze.
Lo spettacolare peggioramento dell’economia giapponese negli anni 90 è paradossalmente derivato anche dal successo che essa aveva conseguito nelle ristrutturazioni effettuate negli anni 80. Grazie alla compartecipazione dei lavoratori e dei sindacati, le grandi imprese hanno accresciuto la loro capacità competitiva sul mercato mondiale attraverso l’introduzione di tecnologie informatiche e di un’automazione sempre più sofisticata da una parte e l’uso di numero sempre maggiore di lavoratori irregolari, a part time e di ogni genere possibile di lavoro segmentato ai costi più bassi dall’altra. I salari reali (in termini di potere d’acquisto) sono così rimasti invariati a partire dalla metà degli anni 70 in poi. Dall'altro lato il capitale delle grandi imprese giapponesi accumulato come denaro prese a venire riversato nelle attività speculative del mercato degli immobili e nella borsa di Tokyo. Anche le banche giapponesi e le altre istituzioni finanziarie spostarono, direttamente o indirettamente, le loro capacità di concedere crediti in maniera flessibile verso la speculazione sui mercati immobiliare e azionario. Così, a partire dal 1986 fino alla fine degli anni 80 si assistette allo sviluppo di una enorme bolla sia nel settore immobiliare giapponese sia nel mercato finanziario, bolla collassata proprio all’inizio degli anni 90. Poiché verso la fine degli anni 80 la prosperità economica del Giappone si trovava a dipendere dalla continua crescita della bolla speculativa che forniva la base dell’espansione della domanda di beni di consumo e di investimento, l’esplosione della bolla stessa ha provocato un calo della domanda effettiva attraverso la dissoluzione dei valori dei patrimoni azionari, obbligazionari e fondiari. Per stimolare la domanda interna e alleviare le difficoltà del sistema bancario, la Banca del Giappone ha via via ridotto il tasso di interesse ufficiale dal 6% nel 1990 all’1,75 nel 1993, continuando ad abbassarlo ulteriormente fino al minimo storico dello 0,5% nel settembre del 1995, superato poi dallo 0,1% del settembre 2001. Ma le banche non sono riuscite ad usare le facilitazioni di credito offerte della Banca del Giappone per espandere le capacità di prestito dato che il valore del loro capitale continuava a diminuire. Dato che negli anni precedenti i clienti più importanti delle banche giapponesi erano diventate le medie e piccole imprese, le agenzie immobiliari e le imprese di costruzioni, le continue difficoltà delle banche e la conseguente restrizione del credito hanno trasmesso una forte tendenza depressiva a tutte queste attivitá, tanto che il numero dei fallimenti annuali delle imprese è rimasto sempre elevato. Essendo più dei due terzi dei lavoratori giapponesi occupati nelle piccole e medie imprese, le tendenze depressive con l’alto numero di fallimenti sono diventate la causa principale dell’aggravamento delle condizioni del mercato del lavoro, caratterizzato da una disoccupazione costantemente in crescita.
Sembra quasi evidente quale sara' il nostro percorso economico. Al momento su tutto il mercato italiano l'unico investimento sicuro e' quello nel campo degli immobili ma presto questo unico cardine su cui si regge l'intera domanda interna crollera', e crollera' quando gli ultimi italiani con ancora dei risparmi consistenti spenderanno questi soldi per metterli nel rifugio immobiliare. Passato quel momento i prezzi delle case inizieranno a calare e a seguito di questo il resto dell'economia e della domanda interna iniziera' ad accartocciarsi su se stessa portandosi dietro l'intero comparto industriale italiano. Il nostro debito incomincera' a schizzare alle stelle e la banca centrale europea dovra' invertire la rotta rialzando i tassi di interesse per il sopraggiungere di una gigantesca onda inflattiva che ci portera' dritti dritti in un periodo di depressione.
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